CENNI STORICI
SU S.MARTINO AL CIMINO:
L'ordine cistercense Nove
secoli fa, il 21 marzo del 1098, ventun monaci con
a capo il loro abate Roberto, lasciarono il monastero
di Molesme per fondare in Borgogna un nuovo insediamento
monastico, in un luogo anticamente denominato Cistercium,
località paludosa con folti canneti, oggi conosciuto
con il nome di Citeaux.
Ecco l'origine dei Cistercensi, che tanto sviluppo
dovevano avere nei secoli seguenti. Origini umili
e difficili,uomini
che disponevano di pochi mezzi, di un terreno incolto
e selvaggio, ma di sicura fede , sostenuti dal desiderio
di una vita monastica povera ed eremitica, fedeli
alle tradizioni degli antichi padri, osservanti del
principio "ora et labora" insegnamento fondamentale
della Regola Benedettina. Alcuni anni dopo, tante
furono le adesione al "novum monasterium"
che si moltiplicarono le abbazie: La Fertè
(1113); Pontigny (1114); Clairvaux e Morimond (1115).
Nel 1113 entrava quale monaco dell'abbazia di Citeaux
colui che doveva divenire il più famoso dei
Cistercensi, San Bernardo di Chiaravalle ed in breve
tempo l'Ordine Cistercense si espanse in tutta l'Europa.
Il motivo primario di questa rapida espansione fu
senza dubbio l'interpretazione degli ideali religiosi
e le aspirazioni del XII secolo, non solo delle classi
agiate ma anche di quelle più povere, dando
grande risalto all'assistenza del pellegrinaggio religioso
molto in uso in quei tempi.
Cenni storici sull’abbazia cistercense
di S.Martino al Cimino
La prima menzione di una "Ecclesia S.ti
Martini in Montibus" risale all'anno 838. Ben
presto il cenobio ospitò il primo nucleo di
una comunità di monaci benedettini che vi risiedette
sino all'inizio del XI secolo. Nel 1145 il pontefice
Eugenio III (1145-1153) sostituì i benedettini
con una colonia di monaci cistercensi provenienti
dal monastero savoiardo di S.Sulpice. Nel 1207 per
volere di Innocenzo III (1198-1216) altri monaci cistercensi,
provenienti dall'abbazia "madre" di Pontigny
rafforzarono la piccola comunità monastica.
Lo stesso pontefice nel 1208 donò all'abbazia
cimina una considerevole somma di denaro per risollevare
le esigue casse abbaziali. Sotto il governo dell'abate
Giovanni II e per interessamento diretto del cardinale
Raniero Capocci, vescovo di Viterbo (1212-1224) iniziarono
i lavori di ampliamento della chiesa e dei locali
abbaziali. La chiesa fu consacrata nell'anno 1225.
Nella prima metà del XIV secolo, Silvestro
Gatti, Signore di Viterbo si impadronì con
la forza del monastero sequestrò i beni e cacciò
i monaci, i quali solo nel 1448 sotto il pontificato
di Niccolò V rientrarono in possesso dell'abbazia.
Nel 1462 papa Pio II (1458-1464) concede l'abbazia
in commenda al nipote il cardinal Francesco Piccolomini
(futuro Pio III ) che inizio grandi lavori di restauro.
Rimasta a lungo nelle mani di molti commendatari tra
cui ricordiamo oltre al Piccolomini, i cardinali Farnese,
Riario, Della Rovere, Visconti, nel 1564 sotto il
pontificato di Pio IV, il cardinal Ranuccio Farnese
lo restituì al Capitolo di S.Pietro in Roma.
Con la decadenza dell'abbazia, il piccolo nucleo di
abitanti (famuli) che aveva sostituito i monaci nei
lavori più pesanti, all'abbandono del monastero
da parte dei religiosi si era costituito in congragazione
laica. Infatti a capo della comunità venivano
eletti tre Priori della Compagnia della Misericordia,
espressione dell'attuale Confraternita di S.Martino
al Cimino.
DONNA OLIMPIA E S.MARTINO AL CIMINO: Le
vicissitudini storiche narrate dagli annali della
biblioteca dell’abbazia.
Quando, nel 1645 Donna Olimpia Maidalchini Pamphili,
ottenne dai Canonici del capitolo Vaticano l’Abbazia
di S.Martino ai Monti, vi trovò una comunità
di quattrocento abitanti, raccolti attorno al monastero
Cistercense, ormai non più abitato dai monaci
Borgognoni.
Il piccolo nucleo di abitanti formatosi naturalmente
intorno all’anno 1426, si era organizzato, infatti
a capo della comunità di S.Martino c’era
un Podestà e tre Priori, quegli stessi della
Compagnia della Misericordia, originaria espressione
della attuale Confraternita del SS.Sacramento e S.Rosario
che tuttora svolge attività spirituali, sociali
e culturali.
Il Podestà e i Priori governavano secondo lo
statuto, per l’osservanza delle leggi si avvalevano
delle dell’operato delle guardie denominate
Baiuli. Da questi primi accenni si nota che le vicende
storiche dell’Abbazia, della Confraternita e
dello sviluppo del borgo, dovuto a Donna Olimpia,
sono strettamente intrecciate.
Se i monaci Benedettini, grandi amanti dei luoghi
solitari, suggestivi e ricchi di acque, non avessero
edificato già nel IX secolo un loro cenobio
e se i Pontefici Eugenio III prima e Innocenzo III
dopo non avessero chiamato in questo luogo una comunità
di monaci Cistercensi, forse non esisterebbe l’attuale
paese. I centri abitati si formavano spontaneamente
attorno ad un castello o ad una Abbazia, dai quali
ricevevano difesa in caso di pericoli.
I primi abitanti della costa cimina, che si erano
venuti a stringere attorno al monastero di S.Martino
ai Monti, dai monaci Cistercensi ricevettero sostentamento,
difesa, ma soprattutto il senso della laboriosità,
della pietà, e dell’organizzazione, utile
quando, per la prepotenza e l’avidità
delle famiglie viterbesi dei Gatti, dei Capocci e
dei Prefetti Vico, i monaci, derubati delle decime,
delle suppellettili e di ogni altra ricchezza, furono
cacciati dal monastero, perseguitati perfino dall’avidità
della camera Apostolica che li aveva oberati di imposte
esose anche nei periodi di maggiore indigenza. Quei
quattrocento abitanti facendo tesoro della grande
scuola dei monaci Sulpiziani prima e Pontiniacensi
dopo, si organizzarono come abbiamo già detto,
facendo fronte anche alle esose pretese finanziarie,
prima dei Cardinali Commendatari e poi dei Canonici
del Capitolo Vaticano, loro veri signori, dalla seconda
metà del 1300 al 1644 e che avevano qui a S.Martino
un loro Vicario per l’amministrazione dei beni
e per la riscossione delle gabelle.
Fu anche per questo che sorse a S.Martino ai Monti
la Compagnia della Misericordia, che oltre all’onere
di mantenere accesa la lampada che arde davanti al
SS.Sacramento, era impegnata a raccogliere, attraverso
i suoi Confratelli, le offerte volontarie da parte
degli abitanti del paese e delle campagne, di grano,
cereali vari e canapa. Raccoglieva tutto nel Monte
Granario che si trovava appunto nella attuale sala
detta del “Granaro”, che in origine era
adibita a dormitorio dei Monaci, poi
luogo di raccolta e di sostentamento per i più
bisognosi e diseredati. Il grano veniva distribuito
o trasformato in pane nel forno pubblico amministrato,
come il Granaro, dalla Compagnia della Misericordia;
la canapa veniva fatta tessere o venduta sempre per
sopperire sia agli indumenti sacri, sia ai bisogni
dei più miseri. Per la precisione dobbiamo
affermare che i Cardinali Commendatari non furono
sempre avide di rendite e opere nei confronti del
monastero, il più attivo e benemerito fu il
cardinale Francesco Piccolomini, nipote di Enea Silvio
Piccolomini, Papa Pio II, il quale fu Commendatario
dal 1461 fino al 1503, anno in cui salì al
Pontificato con il nome di Pio III. Durante la Commenda
il Piccolomini fece riedificare parte del monastero
fatiscente, restaurò l’Abbazia e i dormitori
dei monaci, fece costruire il sagrato antistante la
chiesa, dove ancora oggi sono visibili gli stemmi
del suo casato. Sotto la sua Commenda l’Abbazia
fu più volte visitata dallo zio Papa Pio II,
che vi si rifugiò dal morbo della peste nell’anno
1464, come era già avvenuto per altri Papi.
Successore del Piccolomini fu il Cardinale Alessandro
Farnese, Commendatario dal 1503 al 1523, che commissionò
a Taddeo e Zuccari e Luzio Romano gli affreschi della
Sala Capitolare, oggi sede della Confraternita del
SS.Sacramento e S.Rosario.
Ma chi, sopra tutti, ebbe il merito di dare uno sviluppo
e un aspetto nobile al borgo di S.Martino ai Monti,
fu Donna Olimpia Maidalchini Pamphili, cognata di
Giambattista Pamphili, Papa Innocenzo X, dal quale
aveva ottenuto nell’anno 1645 il monastero Cistercense
e, dopo averne fatto un capolavoro di urbanistica,
lo elevò a Principato. Come donna di grandi
ambizioni e senso del bello, Olimpia affidò
la progettazione ai maggiori urbanisti dell’epoca,
come Francesco Borromini, Marcantonio De Rossi, Padre
Virgilio Spada, alla sopraelevazione dell’antico
Palatium Parvum dei monaci, scelto da Donna Olimpia
come sua residenza principesca lavorarono Lorenzo
Bernini, Paolo Marucelli e l’Alamanni, si avvalse
anche dell’opera dello scultore Algardi e del
pittore Mattia Preti.
Olimpia fu anche Principessa munifica verso la popolazione
che vi trovò, non alterando l’organizzazione
comunitaria preesistente, anzi migliorò le
condizioni di vita dei suoi sudditi, creando tutti
i servizi sociali per quell’epoca e persino
due scuole.
Un’opera più unica che rara Olimpia la
compì verso quei galeotti della darsena di
Civitavecchi ai quali Innocenzo X concedeva la libertà
qualora accettassero di lavorare alla costruzione
del borgo di S.Martino e, alle giovani prostitute
dei sobborghi di Roma che accettavano di vivere nel
nuovo paese offriva un marito, una casa e la dote.
Alle giovani famiglie che con l’andar del tempo
si formavano Olimpia concedeva l’esenzione al
pagamento delle gabelle per i primi due anni di matrimonio.
Tutto questo è storia vera e va detta per sfatare
una volta per tutte maldicenze e leggende su Donna
Olimpia e sulla popolazione di S.Martino al Cimino.
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